Recensioni - Opera

Verona: Juan Diego Flórez trionfa in un’Arena piena solo a metà

Il tenore peruviano in un raffinato repertorio tra belcanto e romanticismo

Difficile immaginare un altro teatro d'opera al mondo che all'interno del suo cartellone possa vantare una parata di stelle paragonabile a quella offerta dalla 100ª edizione dell'Arena di Verona Opera Festival che nell’arco di 3 mesi ospita tutte le più grandi voci dell'attuale panorama lirico. Nel mezzo del cammin della stagione il palcoscenico scaligero ha visto esibirsi per la prima volta il tenore Juan Diego Flórez, voce di riferimento del repertorio rossiniano ma non solo, che, dopo una replica di Rigoletto è stato protagonista di un coinvolgente gala operistico.

Il programma si è aperto con un simpatico imprevisto degno della migliore opera buffa: infatti all'attacco della sinfonia della Cenerentola di Rossini da parte dell'orchestra della Fondazione Arena diretta da Christopher Franklin, dai camerini hanno iniziato a provenire nitidissimi i gorgheggi di Flórez che stava scaldando la voce, che hanno costretto il maestro a fermarsi e ripartire da capo dopo un divertito applauso da parte del pubblico. La selezione dell’opera Rossiniana è proseguita con il duetto “Tutto è deserto… Un soave non so che” in cui Flórez è stato affiancato Vasilissa Berzhanskaya, Cenerentola dal timbro brunito e dalla voce corposa ma estremamente duttile nelle agilità, distintasi anche in una pregevole esecuzione dell'aria “Nacqui all’affanno” e dall'aria “Principe più non sei… Sì ritrovarla io giuro” nella quale Flórez ha fatto sfoggio di un fraseggio morbidissimo, giocato sulle mezze voci e di un registro acuto squillante e luminoso.
L'ouverture del Don pasquale ha quindi introdotto la donizettiana “Ah mes amis… Pour mon âme..” dalla Fille du régiment, brano rivelatore del pirotecnico talento di Flórez che ha così trionfalmente concluso la prima parte dedicata al belcanto con i celeberrimi nove do strappa applausi.

La seconda parte, incentrata sul repertorio romantico, si è aperta con una selezione da Roméo et Juliette di Gounod in cui “Ah! Lève toi, soleil è stata una vera e propria lezione di canto per la raffinatezza del fraseggio e l'intensità dell'esecuzione, ma un caloroso successo ha riscosso anche Marina Monzò, credibilissima Giulietta nell'aria “Je veux vivre”. Notevoli il suo registro acuto e la disinvoltura nelle agilità anche nell’affiancare Flórez nel trascinante duetto “Va! Je t’ai perdonnée”.
Dopo una parentesi verdiana dedicata a Luisa Miller con un’esecuzione di “Quando le sere al placido” di straordinario lirismo, tutta giocata sui fiati, ed una veemente “L’ara o l’avello” accompagnato da Gabriele Sagona e Michele Pertusi, Walter di gran lusso, la chiusura è stata affidata ad un poetico e commovente Rodolfo che ha intonato “Che gelida manina dalla Bohème.

Pur non potendo smentire in toto chi sostiene che quella di Flórez non è una voce da Arena, abbiamo avuto la fortuna di assistere ad uno dei concerti più raffinati è meglio cantati tra quelli ascoltati nell'anfiteatro veronese, che ha dato il suo meglio nei bis, nello specifico in una sezione acustica in cui il tenore peruviano, imbracciata la chitarra, ha eseguito quattro canzoni tra cui una “Paloma” destinata a restare impressa nella memoria di quanti erano presenti. Ultimi regali al pubblico, un suo cavallo di battaglia ovvero “Una furtiva lagrima” dell'Elisir d'amore ed un azzardo: l'ormai inflazionato ma sempre efficace “Nessun dorma” dalla Turandot.
Unico neo della serata il pubblico che purtroppo latitava sulle gradinate e questo, data la qualità dell'esecuzione, è stato veramente un peccato, soprattutto per chi non c'era.