Il capolavoro di Puccini con la regia di Andrea Cigni chiude la stagione 2019 al Teatro Filarmonico
La scena è fissa, un bosco di betulle che si stagliano sul nero fondale e che nasconde la semplicissima casa “a soffietto” di Butterfly, ridotta in realtà ad una sola stanza microscopica. Dall’alto piovono foglie e tutta la vicenda si svolge all’ombra di questo recondito angolo di mondo, simbolo dell’isolamento della protagonista: un ritirarsi così profondo e alienante che la condurrà poi alla morte. Gli alberi e la casa mutano di posizione, così da mostrare varie prospettive del bosco, all’opposto Cio-Cio-San è irremovibile, determinata e continua a credere nell’amore.
I costumi di Valeria Donata Bettella ambientano la vicenda ai nostri giorni, i cellulari dei presenti scattano foto ricordo del matrimonio cui intervengono molti ospiti anche non giapponesi, tuttavia l’atmosfera generale permette di inserire i fatti all’interno di una atemporalità ideale che finisce per coincidere con l’universalità di una storia la quale si ripete disgraziatamente troppe volte. Commovente la figura del bambino che, educato all’occidentale, indossa una maglietta blu col logo di Superman, indizio di quotidianità, ma anche presagio del coraggio di cui egli dovrà armarsi in seguito.
Belle le luci di Paolo Mazzon che, man mano che procede la vicenda, tendono a virare sempre più verso i colori freddi fino a giungere all’atmosfera livida del finale in cui Butterfly pratica lo jigai.
La regia di Andrea Cigni è quanto mai arguta e fonda la sua lettura sulla cura del dettaglio, del particolare, su quelle piccole cose che sono poi il filo conduttore interpretativo della vicenda. Da ogni gesto traspare l’intimità dei protagonisti, il loro essere, il loro pensiero così che fra il pubblico serpeggiano via via, sempre più palpabili, la commozione e il coinvolgimento.
Yasko Sato dà una lettura intensissima della figura della protagonista, ricca di umanità e decoro. La voce forse non è enorme e l’acuto non sempre facile, ma il fraseggio è curato nel dettaglio e la parola scenica sempre ben cesellata. Ne deriva una interpretazione del personaggio magistrale, ricca di sentimento, mai stucchevole, che sa toccare il cuore proprio attraverso il dosaggio attento di una gestualità composta che trasuda dignità.
Valentyn Ditiuk veste i panni di un Pinkerton non sempre sciolto scenicamente, al contempo baldanzoso e codardo. La voce c’è, il timbro è chiaro e piacevolmente morbido e questo fa dimenticare alcuni momenti in cui la prestazione sarebbe potuta sembrare perfettibile.
Manuela Custer è una Suzuki icastica, a tratti austera, sempre compartecipe delle vicende della padrona che tenta di proteggere fino all’ultimo istante. Lo strumento, dai tratti piacevolmente bruniti, è sufficientemente voluminoso e usato con perizia, così da delineare la figura di una donna dalla passionalità sedata ma intensa.
Timbro ricco di armonici per l’ottimo Sharpless di Mario Cassi al cui fianco Marcello Nardis tratteggia un Goro ottimamente insinuante nella sua petulanza.
Con loro: Nicolò Rigano (il Principe Yamadori e il Commissario imperiale), Cristian Saitta (lo zio Bonzo, Lorrie Garcia (Kate Pinkerton), Maurizio Pantò (l’Ufficiale del registro), Sonia Bianchetti (la Madre di Cio-Cio-San) e Emanuela Schenale (la Cugina di Cio-Cio-San).
Bella la direzione di Francesco Omassini che brilla anch’essa per attenzione al dettaglio ed espressività: niente eccessivi sentimentalismi o struggimenti di maniera, ma solo una straordinaria ricchezza di colori e sfumature. Il volume a tratti pare leggermente soverchiante, ma la lettura della partitura pucciniana risulta lucida e al contempo avvincente.
Buona la prova del Coro, ben preparato da Vito Lombardi.