Recensioni - Opera

Verona: Zanetto, sogno decadente

Caloroso successo per l’atto unico di Mascagni al Teatro Filarmonico

Ultimo titolo del cartellone invernale della Fondazione Arena e, paradossalmente, primo spettacolo aperto al pubblico dopo una serie di rappresentazioni televisive o in streaming, Zanetto di Pietro Mascagni ha debuttato per un’unica replica al Teatro Filarmonico domenica 9 maggio. Operazione coraggiosa da parte di un teatro che, anche durante la chiusura forzata, ha continuato a produrre ed ha mantenuto un saldo legame con il suo pubblico.

Capitolo conclusivo del ciclo di interessanti rarità musicali proposte in questa stagione, Zanetto è un atto unico di circa 40 minuti composto da Pietro Mascagni durante il suo incarico di direttore del Liceo Musicale di Pesaro, dove debuttò nel 1896 eseguito dagli allievi. Ispirata alla commedia Il viandante di François Coppée, l’opera è ambientata in un Rinascimento di maniera, secondo un gusto abbastanza in voga all’epoca, in cui la poetica decadente trovava terreno fertile in ambientazioni esotiche che strizzavano l’occhio ad un passato idealizzato. In netto contrasto con il verismo sanguigno di Cavalleria rusticana, titolo con cui all’inizio fu occasionalmente accoppiato, Zanetto si ispira ad un teatro borghese, nel quale il musicista livornese è alla ricerca di uno stile più elegante e raffinato, in cui riaffiora l’eco di madrigali e stornelli, a conferma di un non trascurabile eclettismo nel suo stile compositivo.
La trama è pressoché inesistente, trattandosi di un lungo dialogo tra il menestrello Zanetto che, capitato in un elegante giardino, incontra Silvia e se ne invaghisce. La donna, pur ricambiando il sentimento, preferisce allontanarlo per non rivelargli la sua condizione di cortigiana. In sostanza un’ordinaria trama borghese che, per la tematica affrontata, avrebbe potuto benissimo svolgersi in epoca contemporanea.

In questa direzione si è infatti mosso il regista Alessio Pizzech nel nuovo allestimento veronese. L’ambientazione è una camera da letto in perfetto stile liberty in cui campeggiano un letto ed un gigantesco liuto a simboleggiare le due figure. All’interno di questo spazio la vicenda si svolge come in un sogno: Silvia in veste da camera, dopo aver congedato il suo ultimo amante, riceve la vista di Zanetto che si ritrova ad assumere un ruolo ambiguo, quasi metafisico. Infatti al termine del dialogo Silvia si riaddormenterà sotto una pioggia di petali sparsi dallo stesso Zanetto, quasi tutto il dialogo non fosse reale ma solo vagheggiato.
Uno spettacolo dai tratti onirici, visivamente elegante e suggestivo grazie alle scene di Michele Olcese, ai costumi di Silvia Bonetti ed alle luci notturne di Paolo Mazzon, ma in sostanzialmente decorativo, che si risolve solo nel finale.

In ossequio allo stile rinascimentale che affidava i personaggi maschili ai castrati, Mascagni scrive il ruolo di Zanetto per il registro di mezzosoprano, qui ottimamente interpretato da Asude Karayavuz che ha convinto per il bel timbro brunito ed una linea di canto omogenea. Donata D’Annunzio Lombardi è stata una Silvia intensa, dal solido registro centrale ed elegante nel fraseggio, pur tradendo qualche screziatura negli acuti.

Il programma di sala, come introduzione all’opera, prevedeva una selezione di pagine sinfoniche di compositori appartenenti alla Giovane scuola in cui la parte del leone spettava ovviamente a Mascagni con tre titoli (Le maschere, Guglielmo Ratcliff e Cavalleria rusticana), cui si alternavano Catalani (la Wally) e Cilea (Adriana Lecouvreur). Alla testa dell’Orchestra dell’Arena di Verona, che per motivi di distanziamento occupava parte della platea, Valerio Galli è apparso prudente nell’affrontare queste pagine, mostrando qualche incertezza, soprattutto nella sinfonia da Le maschere. Decisamente più articolata è sembrata la concertazione di Zanetto, dove il direttore toscano ha dato segno di maggior convinzione e tenuta della compagine orchestrale. Apprezzabile la prova del coro diretto da Vito Lombardi nel breve madrigale che apre l’opera. Nonostante il pubblico in teatro fosse sensibilmente contingentato rispetto alla capienza ordinaria, la risposta è stata calorosa, con applausi convinti e ripetute chiamate a proscenio dei protagonisti.