Recensioni - Opera

Vespri risorgimentali al Festival Verdi

I vespri siciliani al Teatro regio, in un allestimento in chiave ottocentesca musicalmente eccellente.

I Vespri siciliani (o, meglio,  Les Vêpres siciliennes) sono il solo grand opéra composto da Giuseppe Verdi che abbia mantenuto pressoché inalterata la sua struttura originaria. Infatti, considerando Jérusalem come un rifacimento dei precedenti Lombardi,  la seconda esperienza in questo genere musicale, ovvero Don Carlos, fu frutto di tali e tanti ripensamenti da parte dell’autore che le versioni successive al debutto si discostano non poco dai canoni prescritti.

Scritta nel 1854/5 e nata dall’esigenza di Verdi di confrontarsi con un genere nuovo, dopo aver realizzato quei tre capolavori di sintesi musicale e drammaturgica che sono Rigoletto, Trovatore e Traviata, questa partitura dimostra come lo stile ipertrofico dell’opera francese fosse in parte estraneo a Verdi. Nonostante alcune intuizioni particolarmente felici, infatti, sono parecchi i momenti in cui la tensione cala e si percepisce esserci qualche lungaggine di troppo. 
Tra i momenti più ispirati si può individuare la sinfonia iniziale, forse una delle più belle, (sicuramente la più articolata) del repertorio verdiano; oppure il terzo atto che, anche se privato dei non indispensabili balletti, si rivela come il momento migliore dell’opera. D’altro canto vi sono passaggi, in particolare nel quarto e nel quinto atto, in cui la sensazione che emerge è che il tutto tenda un po’ a ristagnare e a girare su sé stesso, per giungere al finale che è probabilmente uno dei più sbrigativi, posticci e meno risolutivi dell’intera produzione del Cigno di Busseto.
Ciò non toglie che si tratti di un titolo di sicuro interesse e bene ha fatto il Festival Verdi di Parma a riproporlo in una nuova produzione curata da Pierluigi Pizzi nella triplice veste di regista, scenografo e  costumista.
Lo spettacolo che ha debuttato al Teatro Regio in  realtà non era nuovo di zecca. Si trattava di un allestimento apparso una decina di anni fa a Busseto, che a sua volta era una versione ridimensionata dei Vespri in chiave risorgimentale che avevano inaugurato la stagione scaligera 1989/90.
L’idea registica, oltre all’ambientazione ottocentesca, si basava su una netta contrapposizione tra popolo siciliano e truppe francesi che, per rimarcarne la distanza, venivano quasi sempre disposte l’una sul palcoscenico e l’altra in fondo alla platea, utilizzando tutto il teatro come luogo d’azione.
Questa soluzione, che di per sé forniva spunti sicuramente interessanti, alla lunga si perdeva in un continuo viavai di persone tra platea e palcoscenico che, oltre a risultare un po’ macchinosa, è stata anche causa di qualche incongruenza: ad esempio nell’atto del carcere non si capiva più chi era dentro e chi fuori, visto che nonostante le sbarre dividessero in due la scena, vi era gente che entrava ed usciva disinvoltamente da tutte le parti.
Il tutto si è quindi risolto nel suggestivo finale nel quale, citando la famosa sequenza iniziale di “Senso” di Visconti, l’insurrezione palermitana è stata salutata da una pioggia di bandierine tricolore lanciate dal loggione in platea.
Dal golfo mistico il Maestro Massimo Zanetti ha saputo gestire ottimamente questa impostazione registica, che prevedeva cantanti e coristi disposti sia di fronte che alle sue spalle. Avvalendosi dell’orchestra e del coro del Teatro Regio, che ad ogni appuntamento confermano una forma assolutamente eccellente ed una perfetta adesione alla musicalità verdiana, Zanetti ha dato una lettura in chiave lirica che, pur indugiando nei tempi, si è rivelata di assoluta coerenza e di grande cantabilità.
Di tutto rispetto anche il cast vocale, nonostante nella replica cui abbiamo assistito il tenore Fabio Armiliato, interprete di Arrigo, a causa di un’indisposizione sia stato sostituito all’ultimo minuto dal giovane Kim Myung Ho.  La prestazione di questo tenore sarebbe stata meritevole di applausi già in una situazione normale, data la qualità dello strumento vocale e l’interessante lavoro interpretativo, ma il fatto che sia stata realizzata in condizioni di emergenza, senza prove e con lo spartito in mano, gli è valsa una vera e propria ovazione.
Elena era l’ottima Daniela Dessì, che si è perfettamente immedesimata nel personaggio. Forse non  sempre impeccabile nelle agilità ma di grande intensità nei passaggi più drammatici ed espressivi, il suo quarto atto è stato un capolavoro.
Leo Nucci, nume tutelare del festival ha tratteggiato un Gudo di Monforte in cui l’aspetto marziale spiccava maggiormente rispetto a quello lirico e paterno, ma ciò non toglie che ancora una volta si sia confermato come il baritono di riferimento per questo repertorio.
Giacomo Prestia nel ruolo di Procida ha sfoggiato una voce di grande spessore ed altrettanta malleabilità, ottenendo ripetuti e meritati consensi.
Decisamente di buon livello anche l’apporto dei comprimari.
Al termine il pubblico ha risposto in maniera entusiasta, tributando un successo incondizionato a tutti e relegando le polemiche che hanno salutato l’inizio di questo festival sullo scaffale dei ricordi.

Davide Cornacchione 17 ottobre 2010