La IX edizione del Festival Vicenza in lirica rinsalda il rapporto tra il Teatro Olimpico di Vicenza e il Mitridate re di Ponto con i vincitori del concorso Tullio Serafin
Opera composta nel 1770 in occasione dell’inaugurazione del Regio Teatro Ducale di Milano dall’allora quattordicenne Mozart, Mitridate re di Ponto è titolo desueto nei teatri italiani, ma non solo. Si tratta infatti di una partitura che offre pochi spunti dal punto di vista drammaturgico, essendo costituita quasi esclusivamente da arie – nei 26 numeri si contano solo un duetto ed il breve quintetto conclusivo- oltre alle non indifferenti difficoltà a livello esecutivo. Mozart, infatti, dopo aver approntato i recitativi, compose le arie direttamente a Milano durante le prove, plasmandole sulle caratteristiche dei cantanti coinvolti che all’epoca erano dei veri e propri fuoriclasse. Tutte ragioni queste che probabilmente ne hanno ostacolato la circuitazione. Eppure la musica è estremamente interessante: accanto a numeri più convenzionali emergono alcuni piccoli capolavori, soprattutto nella seconda parte, quali ad esempio il duetto “Se viver non degg’io” o la cavatina “Pallid’ombre che scorgete” che, composte da un quattordicenne, lasciano ampiamente presagire quale sarà l’evoluzione del giovane salisburghese.
Dopo la riscoperta di Mitridate, avvenuta negli anni’70, al Teatro Olimpico di Vicenza approdò nel 1984 la storica edizione con la regia di Jean Pierre Ponnelle, che qui venne filmata per l’edizione in video. Ed a rinsaldare quell’antico legame ci ha pensato il Festival Vicenza in lirica che nella sua nona edizione ha scelto di far debuttare in questo titolo i vincitori del concorso lirico Tullio Serafin.
Scelta coraggiosa, trattandosi di una partitura impegnativa e ricca di insidie, ma in fondo è prerogativa dei festival quella di sperimentare ed il coraggio è caratteristica imprescindibile, come anche in quest’occasione ha dimostrato Andrea Castello organizzatore del festival.
L’opera presentata in edizione quasi integrale è stata salutata al debutto di giovedì 9 settembre da un caloroso successo di pubblico con ripetute chiamate alla ribalta al termine delle tre ore. Nonostante le difficoltà insite nei rispettivi ruoli, i giovani interpreti si sono egregiamente disimpegnati conquistando applausi a scena aperta al termine di ogni aria.
Mitridate -ruolo non assegnato in sede di concorso- era interpretato da Shanul Sharma. Al tenore australiano, pur dotato di una vocalità interessante, sono però mancati lo spessore e l’autorevolezza per tratteggiare in maniera convincente il personaggio. Più interessante il controtenore Franko Klisović, un Farnace a tratti generico che nei passaggi più lirici ha però saputo trovare i giusti accenti, ottenendo un successo personale nell’aria “Già dagli occhi il velo è tolto”. Darija Auguštan, nel ruolo di Sifare, si è rivelata come l’elemento di punta del cast, grazie ad una grande musicalità ed una spiccata sensibilità interpretativa. Nel complesso interessante anche l’Aspasia di Nina Solodovnikova, dotata di una voce importante, soprattutto nel registro centrale, ma non sempre a fuoco nelle colorature. Ottima Martina Licari che ha trovato i giusti accenti per il personaggio di Ismene ed apprezzabili anche Alfonso Zambuto (Marzio) e Gloria Giurgola (Arbate).
L’Orchestra barocca del Festival si presentava con un organico essenziale e strumenti d’epoca. Nonostante questo la direzione di Luca Oberti ha superato le insidie di una scelta sulla carta rischiosa, regalando una concertazione sfaccettata e ricca di sfumature ma allo stesso tempo attenta alle voci.
Interlocutoria la regia firmata da Natale De Carolis, in realtà più riconducibile ad una versione semiscenica, che nella realizzazione ha visti coinvolti gli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Verona. Gli interpreti erano abbigliati in costumi senza tempo, con trucchi marcati che li rendevano più simili a maschere stilizzate che a personaggi psicologicamente sfaccettati. I movimenti erano limitati a poche interazioni all’interno di un progetto abbastanza statico, ravvivato dalla presenza di due attori e di una ballerina che rappresentava una sorta di doppio di Aspasia, che però poco aggiungevano; mentre la scansione dei vari passaggi, sia dal punto di vista drammaturgico che emotivo, era affidata ad un gioco di luci e videomapping che interagivano con la scenografia dello Scamozzi.
Nel complesso un’edizione interessante e ricca di molti pregi che si spera possa costituire un ulteriore tassello nella riscoperta di un’opera che sicuramente merita maggiore attenzione