Recensioni - Opera

Werther : un dramma a quattro

Alla Scala il capolavoro di Massenet in un allestimento che mette in risalto i personaggi di Albert e Sophie

Werther di Jules Massenet è tornato sul palcoscenico del Teatro alla Scala di Milano in una nuova produzione di Christof Loy che ne ha enfatizzato l’aspetto di dramma borghese, ambientandolo in uno spazio sobrio ai limiti dell’austerità.  La scenografia minimalista di Joannes Leiacker consiste in una grande porta scorrevole al centro di una parete che taglia a metà il palcoscenico. Dietro questa parete c’è il mondo, con il suo vitale pulsare, mentre i protagonisti si trovano sempre relegati a proscenio senza mai riuscire ad interagire con la vita esterna, mantenendo le loro vicissitudini sentimentali sempre al di qua della parete.  

Il regista mette in luce fin dall'inizio i complessi meccanismi del rapporto tra le due sorelle Sophie e Charlotte: rapporto basato sulla gelosia ma anche sulla competizione, soprattutto della minore nei confronti della maggiore.
La prima parte si svolge sostanzialmente nel pieno rispetto del libretto, anche per quanto riguarda i personaggi secondari che partecipano alle vicende dei primi due atti, mentre nella seconda parte il regista sceglie un adattamento più personale del dramma, che prende le sue distanze dalla sinossi originale. Staccandosi dal dettato del romanzo di Goethe e del libretto di Edouard Blau, Paul Milliet et Georges Hartmann, Christof Loy traspone il triangolo amoroso Werther-Charlotte-Albert al centro di un drama borghese, in cui viene coinvolta anche Sophie. Il finale si svolge a casa di Albert, dove Werther compirà il suo gesto estremo, con Albert furioso nel leggere le lettere di Werther mentre Sophie sembra impazzire. Sarà Charlotte, obbedendo ad Albert, a consegnare la pistola al suo amante per poi correre dal lui ormai morente non prima di aver lanciato ai piedi del marito le lettere compromettenti. Una lettura interessante che mette in luce, grazie ad un’efficace controscena di Albert e Sophie, le varie dinamiche psicologico-emotive con cui i quattro si sono confrontati nel corso della vicenda. Un quartetto che ricorda anche quello dell’Evgenij Onegin in cui la coppia di Charlotte e Werther si rispecchia in quella di Tatiana ed Evgenij, con un Onegin che però sceglierebbe di porre fine alla sua malattia d’amore.

Il cast vocale si è avvalso di un quartetto ottimamente affiatato. Il Werther di Benjamin Bernheim, attualmente considerato interprete di riferimento, nasce da un raffinatissimo lavoro di cesello, sia nel canto che nel respiro, non eccedendo mai nel drammatico ma ricamando il testo grazie ad un fraseggio impeccabile.  Un Werther quindi più lirico che drammatico, dal timbro luminoso, protagonista di un’interpretazione che lo pone nel solco dei grandi Werther della tradizione, che con “Pourquoi me reveiller” riceve l’unico applauso a scena aperta della serata. Victoria Karkacheva è una Charlotte dall’impeto eroico, nobile e sentimentale, che delinea un personaggio carismatico che mai si abbandona a languidezze. Benché la sua dizione francese non sia perfetta, la cantante si avvale di un timbro brunito, corposo che riesce a toccarci nei momenti più drammatici dell’opera, creando un’ottima sintonia con Barnheim.  Francesca Pia Vitale è una Sophie dalla voce luminosa e dalla solida linea di canto, oltre a rivelarsi eccellente sulla scena in un’interpretazione che va oltre l’infantilità, creando un personaggio a tratti ambiguo nei suoi atteggiamenti nei confronti della sorella e del cognato. L’Albert di Jean-Sébastien Bou spicca per il bel timbro baritonale e per l’efficace costruzione del carattere che, sotto una maschera di autorevolezza nasconde il rammarico del marito mai realmente amato.

Di ottimo livello la sezione dei comprimari che si avvale delle valide prove di Rodolphe Briand ed Enric-Martìnez-Castignani nei ruoli comici di Schmidt e Johann, di Armando Noguera (Le Bailli), Pierluigi D’Aloia (Brühlmann) ed Elisa Verzier (Kätchen). Ottimi anche tutti i giovanissimi cantanti, allievi del Coro di Voci Bianche dell’Accademia della Scala, come Enfants animatissimi nel canto e nella recitazione.

Alain Altinoglu, ha optato per una concertazione sontuosa, dai colori orchestrali accesi e ricca di contrasti ma sempre attentissima alla narrazione ed al servizio del canto.  La melancolia ed il pessimismo che caratterizzano l’animo dei protagonisti vengono esaltati nella rifinitura di ogni dettaglio, senza alcun cedimento della tensione drammatica e senza mai scadere nel lezioso o nello stucchevole. Una grande prova per il debutto milanese del direttore parigino.
Al termine grande successo di pubblico in un teatro esaurito.