Recensioni - Cultura e musica

Anna Serova: la Signora suona il Tango

Nell'intervista la celebre violista racconta del suo ultimo progetto discografico edito dalla Recantus Classics che la vede protagonista: Tango all'Opera di Roberto Molinelli.  Anna Serova (viola) e Tango Sonos. Foto di Massimo De Ceglie

Gran signora della viola, arco “di mezzo” che nelle sue mani canta, torreggia, dilaga, Anna Serova è da sempre ambasciatrice di un fare musica insofferente agli steccati. Libero, scapricciato, irresistibilmente ramingo. In “Tango all’Opera”, raffinato percorso tra arrangiamenti e pagine originali, l’artista russa chiama a sé i valorosi comprimari del trio “Tango Sonos” per riaprire idealmente le porte dei teatri e dar vita ad una singolare serata d’opera. Pagine immortali, da Verdi a Puccini, che l’arte del rammendo di Roberto Molinelli screzia di inattese ascendenze tanguere. L’abbiamo incontrata per una lunga chiacchierata su musica, vita e progetti futuri.
 

Signora Serova, partiamo da “Tango all’Opera”, il suo ultimo lavoro discografico. Quando è nata in Lei l’idea di far incontrare e dialogare due mondi apparentemente lontani come il tango con il teatro d’opera italiano?
Il progetto nasce in sostanza dalla passione per il Tango, uno dei ritmi musicali più importanti e coinvolgenti del XX e XXI secolo. Probabilmente vi chiedete come mai questa unione tra opera e tango? Dobbiamo considerare che il tango deve la sua esistenza all’immigrazione italiana in Argentina, tanto che i più grandi compositori di questo genere portano cognomi evidentemente italiani (Piazzolla, Pugliese, Troilo, D’Arienzo, De Caro…). Inoltre, anche la canzone napoletana, con le sue melodie appassionate e i testi trascinanti, ha contribuito, attraverso la sempre crescente comunità italo-argentina, allo sviluppo della tradizione tanguera nella regione del Rio de la Plata, tra l’Argentina e l’Uruguay.
Nel dar forma a questo connubio tra generi musicali e culture geograficamente così lontane ci affascinava l’idea di guardare sotto una luce nuova la musica classica di tradizione e quella del Tango argentino, un po’ contemplando il denominatore comune che indubbiamente le lega: la passione, l’elemento che è stato di maggiore ispirazione per i librettisti d’opera e per gli autori dei testi delle Canciones de Tango.

In questo percorso d’ascolto la Sua visione interpretativa si è interfacciata con il bandoneon di Antonio Ippolito, il pianoforte di Nicola Ippolito ed il contrabbasso di Gerardo Scaglione. Cosa rappresentano per un’interprete come Lei la dimensione cameristica e l’interazione con altre visioni e approcci?
Registrare questo album è stata una bellissima esperienza. In fondo il nostro è un quartetto, anche se un po’ insolito, di viola, bandoneon, pianoforte e contrabbasso. Gli arrangiamenti di Roberto Molinelli richiedono, da una parte, un approccio strettamente accademico con il rispetto di tutte le regole della musica da camera, dall’altra lasciano spazio all’improvvisazione e alla libertà di esecuzione. Giustamente, non poteva essere altrimenti nell’incrociare due generi come l’opera e il tango che agli interpreti richiedono rigore e conoscenza della prassi esecutiva e, nello stesso tempo, libertà e fantasia. Io poi ho sempre amato il Tango argentino e sono anche ballerina di Tango, lo suono da tanti anni ma la vera svolta è avvenuta quando ho incontrato i Tango Sonos, alias Antonio Ippolito, bandoneon, Nicola Ippolito, pianoforte e Gerardo Scaglione, contrabbasso. E’ uno dei gruppi di riferimento nel panorama internazionale del Tango argentino e, grazie a loro, ho potuto approfondire ogni dettaglio stilistico fondamentale per dare ad ogni esecuzione il vero “sound” tanguero. Sono fantastici, ho imparato tanto da loro e continuo a farlo!

Qui, a tracciare il percorso, sono gli arrangiamenti di Roberto Molinelli, che di questo raffinato progetto è il regista. Una collaborazione, immaginiamo, di impianto sartoriale, costruita addosso alle Sue caratteristiche di strumentista, alla Sua cifra espressiva. Ci racconti qualcosa di questa collaborazione, il dietro le quinte che ha portato dall’idea all’incisione.
Con Roberto ci siamo conosciuti quasi sei anni fa durante un concerto a Bari, quando mi sono trovata ad essere diretta da lui in tour con l’Orchestra Sinfonica Metropolitana di Bari. Da allora è cominciata una collaborazione stabile tra noi, siamo diventati anche compagni nella vita, e Roberto mi ha dedicato alcune sue composizioni.  Il connubio artistico con Roberto è stato sicuramente sempre colorato dalla comune passione per il Tango.
Tre anni fa Roberto Molinelli mi ha dedicato un brano, “Lady Walton’s Garden”, Concerto per Viola, Orchestra e Tanguero, che ho eseguito in prima assoluta a Wellington in Nuova Zelanda con la New Zealand Symphony Orchestra. La particolarità di questo brano è quella di approfittare del fatto che io sia non solo una violista ma anche una ballerina di Tango: nel finale in partitura è previsto che io smetta di suonare, appoggi la viola e mi unisca a un ballerino per un giro di Tango conclusivo, sulle note dell’orchestra.
Il progetto Tango all’Opera è cominciato in occasione dell’anniversario dei 150 anni dalla morte di Gioachino Rossini, quando, in cooperazione con il Comune di Pesaro, abbiamo prodotto “El tanguero de Sevilla”, un breve video che celebra il grande compositore pesarese. Grazie a Roberto Molinelli, che ha trasportato i temi della sinfonia de “Il Barbiere di Siviglia” nell’atmosfera del Tango argentino classico degli anni ’40, il tango ha incontrato per la prima volta la musica di Rossini. Il video è stato girato al Teatro Rossini di Pesaro e alla casa natale di Gioachino Rossini. Alle riprese del video, che si può facilmente trovare su YouTube, hanno partecipato due grandi ballerini di tango, gli argentini Sebastian Arce e Mariana Montes. Dopo il successo di questa prima rielaborazione, che ha suscitato l’interessamento anche di Sky Classica, abbiamo deciso di dare forma a un progetto interamente dedicato all’opera italiana: “Tango all’Opera”, inserendo brani dedicati a Mascagni, Puccini, Verdi e Donizetti.

L’elemento più evidente in questo itinerario è la contaminazione tra generi, per utilizzare un termine abusato quanto rischioso. Che connotazione attribuisce Lei a questa dimensione creativa?
Da tempo la contaminazione fra generi musicali si è fatta largo nella produzione originale di arrangiamenti, soprattutto da quando strumenti molto espressivi estranei all’orchestra tradizionale (come per esempio la chitarra elettrica o in generale gli strumenti elettroacustici oppure, come nel nostro caso, il bandoneon) si sono ricavati un loro spazio all’interno di tante produzioni. La contaminazione trae spunto anche da quella musica nata per altri strumenti che poi piano piano si è fatta largo all’interno del repertorio degli strumenti classici e delle formazioni classiche come l’orchestra o il trio, il quartetto… E il nostro in fondo è un quartetto.

La sua formazione, prima di approdare in Italia, è avvenuta accanto ad alcuni tra i più prestigiosi nomi della scuola russa. Quali sono gli insegnamenti più preziosi dei vari Maestri con cui ha studiato, quelli cioè che ritiene abbiano avuto un ruolo primario nel definire la sua cifra d’artista?
Mi ritengo fortunata, nella mia vita ho incontrato degli insegnanti molto generosi come il mio primo insegnante di violino, il grande didatta Georgy Mishenko che, ad ogni lezione, mi insegnava non solo come suonare ma anche come insegnare in futuro, spiegando bene il senso di ogni esercizio nonostante avessi solo sei anni. A quindici anni un altro maestro molto saggio mi ha consigliato di provare la viola, dicendomi che avevo il suono molto adatto. È stata una svolta nella mia vita e lo ringrazio ancora! Sono laureata e ho un dottorato del Conservatorio di San Pietroburgo nella classe di Vladimir Stopichev. Sono stati anni molto formativi soprattutto in senso culturale, la città di San Pietroburgo è un posto magico e, come si dice da noi, lì ti insegnano anche i muri!
Ho avuto inoltre il previlegio di frequentare per alcuni anni delle masterclass di Yuri Bashmet all’Accademia Chigiana di Siena e da lui ho cercato di imparare quel tocco magico che è il suo incomparabile suono. Per quattro anni ho frequentato all’Accademia Stauffer di Cremona la classe di Bruno Giuranna, che vorrei ringraziare in modo particolare per avermi aiutato ad organizzare e sistemare tutto il bagaglio artistico, culturale e didattico che ho accumulato negli anni.

Che tipo di allieva è stata Anna Serova?
Curiosa, metodica, un po’ pigra e molto grata.

Oggi alla carriera di solista e di ago magnetico in svariate formazioni, Lei affianca un’intensa attività didattica. Qual è per un artista l’apporto che il confronto con le giovani generazioni offre?
Insegno dal 2009 alla Fondazione Perosi di Biella e da quest’anno sono docente al Conservatorio “Fausto Torrefranco” di Vibo Valentia. Con i ragazzi, che hanno una grande fiducia nel futuro, una grande voglia di fare e un livello di preparazione che cresce sempre di più, l’insegnamento è per me una fonte di grande soddisfazione e di grande ispirazione.

Qual è, tra i tanti avuti in consegna, il testimone più importante che cerca di trasmettere ai suoi allievi? E quali sono i pericoli da cui li invita a diffidare?
Tra gli insegnamenti sicuramente quello di alzare costantemente il proprio livello culturale e di ricordare che essere un artista sul palco non richiede solo delle abilità tecniche o artistiche ma ti mette alla prova anche dal punto di vista fisico e psicologico.  Perciò insieme al metodo di studio, che credo sia una delle cose più preziose che un docente possa insegnare, parliamo dell’aspetto psicologico del suonare e come affrontare la paura del palcoscenico, introducendo gli esercizi di yoga e di meditazione.  E il pericolo potrebbe essere quello di dimenticare che la musica è solo una parte della vita: per diventare un bravo artista che riesca a trasmettere le emozioni al pubblico, devi vivere appieno la vita e diventare una persona ricca delle emozioni che vuoi comunicare.

Questo tempo ha visto spegnersi drammaticamente i riflettori sui teatri. Secondo Lei, da quali priorità sarebbe bene ripartire, per ricucire lo strappo inferto dalla pandemia nella vita della comunità tutta?
La musica, gli spettacoli musicali in teatro sono un buon modo di ripartire in società perché sono degli eventi sociali che riuniscono tanti spettatori sotto lo stesso tetto. La socializzazione è proprio quello che ci è mancato di più nell’ultimo anno e per recuperarla questo è uno dei modi più sicuri, al teatro si sta comunque fermi e seduti ad ascoltare un concerto o ad assistere ad uno spettacolo teatrale. Alcuni paesi sono già ripartiti con gli spettacoli in sicurezza e in Russia, per esempio, non si sono mai fermati: la musica e la cultura in Russia sono considerati di vitale importanza per la vita del paese e per lo spirito del popolo. Gli spettatori sono stati ridotti prima al 25%, poi al 50% e adesso al 75% di capienza della sala ma i teatri sono rimasti aperti.

Scorrendo idealmente il fitto album della Sua carriera fino ad oggi, l’impressione che si ha è quella di una progressiva adesione ad una libertà personale ed artistica sempre più dichiarata, capace anche di una pregnante leggerezza che poggia sulla caratura di una strumentalità e di una consapevolezza interpretativa come garanzie per qualunque scommessa. È così?
Continuo a eseguire il repertorio classico per viola, ma rimango sempre affascinata da idee e linguaggi nuovi. Predilezioni non ne ho. Suono tanti generi diversi, dalla musica del ’700 al tango contemporaneo e mi piace anche esplorare le possibilità tecniche e timbriche della viola elettrica. La vita è l’arte dell’incontro, sono stata molto fortunata ad incontrare delle persone, durante il mio percorso artistico, con le quali ho creato dei bellissimi progetti innovativi. Negli ultimi anni ho ricevuto anche delle dediche da alcuni dei più importanti compositori contemporanei (Azio Corghi, Marcello Fera, Roberto Molinelli, Boris Pigovat, Enzo De Rosa, Vittorio Montalti, Roberta Vacca), alcuni dei quali hanno creato per me un nuovo genere di composizione unendo la forma del concerto all'azione scenica di un’opera di teatro, come la tragedia lirica “Giocasta “ di Azio Corghi dove ho impersonato il Destino suonando e recitando, “Lady Walton’s Garden” di Roberto Molinelli dove suono e ballo il tango o “Viola Tango Rock Concerto” di Benjamin Yusupov dove suono la viola acustica e la viola elettrica e ballo.

Da sempre presta la sua creatività a progetti di charity e di sostegno a realtà difficili, ed è in prima linea nel coniugare arte ed impegno sociale. Da dove nasce il bisogno di scendere in campo, come persona ancor prima che come artista, e di richiamare l’attenzione sulle tante forme di disagio, difficoltà e marginalità?
Credo che sia un dovere sociale di ogni persona quello di aiutare il prossimo. Ma le persone che hanno un po’ più di visibilità e sono in possesso degli strumenti giusti, dovrebbero farlo ancora di più per informare la società, sensibilizzare la politica o raccogliere fondi unendo lo spettacolo ad un’operazione benefica.